Cantico della galera - Giuseppe Munforte

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“Un intrico di rughe e silenzi e frasi elusive”: Fausto è così, un uomo riflessivo dalla forte passione per la letteratura che ha trascorso molti dei suoi quarantacinque anni in galera, dove ha imparato a sopravvivere come un maestro zen, guidando la mente, svuotandola di ogni pensiero. Dove ha imparato “la pazienza e l’abitudine di centellinare i momenti buoni e farli durare”.
Fausto si è guadagnato il rispetto dei secondini e di alcuni fedeli compagni, fra cui Davide, il giovane ragazzo con gli occhi da indio che anche in carcere non sa tenersi lontano dai guai, a cui insegna l’amore per la scrittura.
Quando esce di galera, Fausto va a vivere a Milano a casa della madre di Davide e di sua sorella, Sonia, che da adolescente aveva deciso di farla finita lanciandosi sotto un treno e ora sta crescendo una figlia da sola. Per l’uomo è come una nuova famiglia, anche se sa che non potrà durare. Ma Fausto è a Milano soprattutto per incontrare Nadia, psicologa conosciuta in carcere con cui intreccia una intensa relazione, proprio quando ormai per lui “Amore” non è che una parola da prestigiatore che può servire soltanto a chi ha ancora voglia di illudersi.
Fra la pulsione di morte e l’amore che redime, Cantico della galera non intende proporre una soluzione unica: i protagonisti del libro, questi ragazzi già invecchiati, restano sospesi nella loro incapacità di credere alla seconda chance, come se temessero che, da un momento all’altro, “la pancia del treno” possa arrivare a inghiottire ogni cosa.


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